Sono una antropologa, laureata all'Università di Bologna. Vivo attualmente in Giappone dove, presso il Dipartimento di Psicologia Clinica dell'Università di Tokyo, svolga la mia attività di ricerca. Il mio non può essere definito un classico percorso accademico. Questo perché, prima di dedicarmi all' antropologia, ho svolto per molti anni attività di imprenditrice; un impegno sostenuto con passione che mi ha portato a viaggiare in tutto il mondo e ad affinare il mio interesse, sempre presente fin da bambina, nella osservazione di quel mondo e dei suoi abitanti.
Successivamente, è generata in me l'esigenza di radicale cambiamento che mi consentisse di dedicarmi esclusivamente alla ricerca e, per molti eventi accaduti, ho compreso che l'unico luogo dove questo poteva avvenire era in Giappone. La realizzazione di questo progetto è stata complessa ma sta offrendo preziosi frutti, poiché il Giappone si è effettivamente rivelato un luogo straordinariamente idoneo per intraprendere ciò che amo definire una riflessiva e fruttuosa sperimentazione.
La conoscenza della lingua giapponese e la mia ininterrotta ricerca di campo che ritengo di sostenere con passione ed anche con innata capacità empatica, mi hanno consentito di penetrare nella complessità del mondo Hikikomori che, salvo poche eccezioni, finora è stato affrontato solo da studiosi giapponesi.
Credo profondamente che una osservazione culturalmente distaccata possa generare innovativi suggerimenti di riflessione non soltanto nel luogo dove quel certo fenomeno ha preso forma, ma anche al di fuori dai suoi confini. Un esempio è visibile proprio in Italia dove, in seguito alla pubblicazione del mio primo libro, sono stati documentati per la prima volta molti casi di giovani Hikikomori italiani, modificando così l'opinione comune che tale fenomeno fosse a noi completamente estraneo.
Il percorso di ricerca che sto compiendo, che ho definito Antropologia del Sé, è solo agli inizi. Il tentare di fare luce su quel ”Buio del Cuore” che invade coloro che si ritirano in Hikikomori, è infatti solo un primo passo che vuol condurre oltre ai confini di quel fenomeno, verso cioè una riflessiva osservazione di noi, uomini confusi, perché completamente sconosciuti a noi stessi.